Omicida e vittima si chiamano Matteo Biggi, 29 anni, portuali. Omonimi
Una coincidenza pazzesca. Il killer accoltella a morte il suo doppio per gelosia verso la sorella
3-11-201217:34
Matteo Biggi, 29 anni, portuale, ha ucciso Matteo Biggi, 29 anni, portuale. Una sola coltellata al petto che ha perforato i polmoni. Cosa? Chi è che si è ucciso? Matteo Biggi? No, non è un suicidio. È un omicidio. Erano due i Mattei. Stessa età, stesso lavoro, stessa città. Si chiamavano allo stesso modo. Omonimia del destino. Unico il gesto che li ha accomunati, che ha condannato a morte il primo e annichilito a vita il secondo.
I poliziotti all’inizio non capiscono, scorrono le generalità sui documenti e scuotono la testa. Rileggono, non ci credono. Anche i giornalisti faticano a inquadrare il caso. I primi lanci d’agenzia sono di ieri sera, parlano di lite tra familiari: Matteo era cugino di Matteo. E invece no, erano estranei del tutto omonimi. Estranei, ma non sconosciuti l’uno all’altro. La prima volta che si sono presentati ci avranno pure scherzato sopra, non potendo sapere come sarebbe andata a finire. La sorella del primo era un’amica, forse era stata la ragazza, del secondo. Matteo ha ucciso (è stato ucciso) per gelosia. Gli altri, quelli che li conoscevano, camalli raccolti nella Sala Chiamata del porto di Genova, frequentatori della palestra della Compania unica dei portuali di Genova, sapevano che Matteo e Matteo erano figli di soci della Compagnia. I papà portuali, entrambi in pensione.
La notizia lascia a bocca aperta. Paul Auster, scrittore innamorato delle coincidenze che non sono solo coincidenze (e del doppio, tema perenne della letteratura mondiale) ha materia per un formidabile romanzo. Qui la verità supera la fantasia. Non è credibile.
Storia perfetta per una tragedia greca: lo svMarco Ventura iluppo drammatico è insito nei nomi dei protagonisti, si sviluppa inesorabile all’interno di quel rapporto ambiguo, nell’ inconsapevolezza di ragazzi “gemelli” segnati dal destino.
Matteo Biggi e Biggi Matteo. Il primo, la vittima, una figura solare: già all’Accademia di Belle Arti, un talento per il disegno, con bozzetti che riempiono il profilo facebook forte di centinaia e centinaia di contatti, fortunato con le donne e amante della vita, sportivo, inguaribilmente positivo. L’altro, l’assassino, una figura notturna: introverso, ombroso, disturbato, alle spalle una storia d’amore infelicemente interrotta, e un rientro malinconico da un viaggio dalla rabbrividente Scozia, cultore di savate (la boxe delle periferie povere francesi) che appena l’altro giorno gli ha procurato la rottura del naso e un colpo alla testa e, dicono, lo ha fatto impazzire. Nessun profilo fb. Ovvio.
Matteo B e Matteo B. Il giorno e la notte. Il bene e il male. L’Uno e il suo Altro. La felicità e l’orrore. L’amore e la morte. Due vite, uno specchio. Ricordate il libro di Eric-Emmanuel Schmitt, “La parte dell’altro”? Una doppia biografia di Hitler che ricostruisce l’altra possibile vita di Adolf. L’Hitler cattivo è quello che conosciamo. L’Hitler buono è quello che sarebbe stato, se l’8 ottobre 1918 fosse stato ammesso, come desiderava, all’Accademia di Belle Arti. Due Hitler possibili, due percorsi paralleli.
“Il Secolo XIX” cita un racconto di Edgar Allan Poe in cui il protagonista, William Wilson, tormenta un suo omonimo (e coetaneo) fino allo scontro finale in cui lo accoltella a morte (salvo poi scoprire di aver colpito uno specchio): “Tu hai vinto e io muoio, ma d’ora innanzi anche tu sei morto, morto al mondo, al Cielo e alla speranza! Tu esistevi in me, e ora tu vedi nella mia morte, in questa stessa immagine che è la tua, come abbia assassinato te stesso!”. Matteo Biggi il bello, l’ucciso, abitava in vista del mare a Poggio di Apparizione. Si respira invece l’assillo e l’assedio del porto nelle strettoie di Via Vesuvio, quartiere Lagaccio, dove abita l’altro Matteo, il killer depresso.
Il respiro e l’affanno. La luce e l’oscurità. L’arte e l’omicidio. La coltellata di Matteo a Matteo ha ribaltato il mondo e spezzato il doppio. L’alter ego si è trasformato nell’Ego immensamente triste (e solitario) dell’omicida accecato dalla gelosia, dalla follia. E dall’invidia. Di se stesso.
Marco Ventura
“Mi odio allora ti uccido”. La storia dei due Matteo
Uguali proprio in tutto, meno che nel carattere. I successi di Matteo Biggi fanno delirare il suo omonimo che lo uccide.
Matteo Biggi vs Matteo Biggi. Stesso nome, stesso cognome, stesso lavoro, stessa età: 30 anni. Persino stessa città e stessa donna (la sorella dell’assassino) amata e desiderata da entrambi.
Per trent’anni hanno vissuto nella stessa città, Genova, e lavorato l’uno accanto all’altro sulle stesse banchine del porto del capoluogo ligure, per la stessa società portuale.
Ma c’era qualcosa di impercettibile che li rendeva diversi. E non si trattava del solo aspetto fisico. Uno era un ragazzo solare, un giovanotto con tanta voglia di vivere e di innamorasi; l’altro, invece, da alcuni mesi era vittima della depressione e della solitudine. Ed è stato proprio l’amore di Matteo verso la sorella del giovanotto fragile e depresso a far scatenare tutta la sua violenza.
Lorita Tinelli, psicologa ad indirizzo clinico, che cosa può aver scatenato la violenza del ragazzo?
E’ indubbiamente un caso molto singolare. Premesso che è impossibile tracciare una diagnosi precisa e fare dunque un’analisi psicologica dell’omicida, si può sostenere che Matteo quello “fragile” abbia visto l’altro, Matteo “solare” come il suo alter ego, la parte migliore di sé che però lui non riusciva a riconoscere e ad accettare. Oppure, può aver visto nel suo omonimo anche la parte peggiore di sé, quella che avrebbe voluto eliminare. E che poi sostanzialmente ha fatto. Lo stesso nome, l’età, le frequentazioni identiche e il Matteo “fragile” è probabilmente entrato in crisi. Questo può aver accentuato ulteriormente la sua depressione e il suo malessere.
Dottoressa, si potrebbe parlare di una sorta di “suicidio”? “Certo. In una mente fragile tutte queste coincidenze persino anagrafiche oltre che professionali, potrebbero essere state viste e anche vissute dal Matteo “fragile” come una vita parallela. Si vedeva rappresentato con un carattere e una personalità diversa, con una immagine fisica diversa che può averlo mandato in tilt e portato ad eliminare questa parte di sé “estranea” e al tempo stesso “nemica”. Matteo “fragile” nel veder scorrere i successi del Matteo “solare”, può essere stato spinto in “buffet delirante” sfociato nella violenza dell’accoltellamento. Il fallimento della sua vita gli veniva mostrato quotidianamente sul luogo di lavoro e poi infine anche nella vita privata.
Prima di scagliarsi sul suo omonimo, l’assassino ha gridato:“Giù la mani da mia sorella!”.. Non è un caso. La sorella, infatti, potrebbe essere stata “il” pretesto, l’elemento scatenante. Probabilmente l’omicidio non si sarebbe mai consumato se non ci fosse stato, tra i due, un elemento affettivo ad incrociare le loro vite. Insomma, un elemento sanguigno. Ed ecco che con molta probabilità viene giustificato, nella sua mente fragile, il motivo per affrontare ed eliminare l’altro. Fisicamente.
13 novembre 2012